Tramite un comunicato stampa ufficiale del 7 Dicembre 2016, la Corte Costituzionale italiana aveva dichiarato che il Decreto Legge c.d. “Spalma Incentivi” (n. 91/2014), recante la disciplina per la produzione di energia da impianti fotovoltaici (FV), non ha violato la Costituzione.
Con una decisione repentina, il dispositivo della sentenza è stato adottato solamente un giorno dopo l’udienza pubblica di discussione tenuta dalla Corte.
Il 24 Gennaio 2017 la Corte Costituzionale ha reso note le proprie motivazioni mediante la pubblicazione della Sentenza n. 16/2017.
Taglio delle tariffe incentivanti
L’articolo 26 del Decreto Legge n. 91/2014 (convertito con la Legge n. 166/2014), il c.d. Decreto “Spalma Incentivi” (il “Decreto”) ha stabilito che a decorrere dal 1 Gennaio 2015 le tariffe incentivanti riconosciute per impianti FV con capacità superiore a 200KW sarebbero state rideterminate e ridotte. Gli operatori hanno dovuto quindi effettuare una scelta tra tre differenti opzioni: (a) estendere il periodo di riconoscimento della tariffa incentivante da 20 a 24 anni, con una diminuzione della stessa a seconda del periodo di operatività dell’impianto; (b) iniziale riduzione della tariffa incentivante per un periodo di 5 anni, con successivo incremento nel secondo periodo; (c) riduzione della tariffa incentivante inizialmente riconosciuta del 6%-8%, a seconda della potenza dell’impianto, ma senza alcuna estensione del periodo di incentivazione di 24 anni.
Questione giuridica
Un certo numero di operatori, produttori e associazioni operanti nel settore FV ha instaurato diversi procedimenti dinnanzi al Tribunale amministrativo chiedendo, fra l’altro, la dichiarazione di illegittimità costituzionale del Decreto per la presunta violazione di diversi principi costituzionali. Nel Giugno 2015, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio sospendendo i procedimenti amministrativi pendenti, rimetteva alla Corte Costituzionale la questione inerente la legittimità costituzionale del Decreto. Le argomentazioni avanzate a sostegno di tale richiesta venivano fondate sulla presunta violazione del legittimo affidamento dei produttori al riconoscimento di una tariffa incentivante costante per un periodo di 20 anni, così come stabilito e garantito dagli accordi (Convenzioni) conclusi con il Gestore dei Servizi Energetici (GSE). Inoltre, veniva anche eccepita la irragionevolezza del Decreto in quanto discriminatorio e mancante del necessario grado di proporzionalità atto a garantire il libero esercizio di attività economiche private.
La decisione ha colto con una certa sorpresa gli operatori del settore. Questi ultimi, certi della ragionevolezza e forza delle argomentazioni avanzate, anche sulla base delle recenti dichiarazioni rese dalla Commissione Europea durante i lavori preparatori della nuova Direttiva per le energie rinnovabili che aveva condannato l’adozione da parte degli Stati Membri di misure retroattive a danno degli operatori FV, attendevano un esito differente al vaglio del Decreto da parte della Corte Costituzionale.
Le argomentazioni della Corte
Le argomentazioni proposte dalla Corte Costituzionale appaiono superficiali e, per certi versi, prive di un approfondimento del settore delle energie rinnovabili.
La Corte ha stabilito che il Decreto non viola il legittimo affidamento dei produttori. Riaffermando il principio secondo cui le leggi debbano garantire un certo grado di certezza giuridica, la Corte ha poi stabilito che tale principio non preclude la possibilità che lo Stato possa assumere decisioni peggiorative per le proprie controparti, modificando unilateralmente le relazioni contrattuali di lungo periodo concluse con soggetti di diritto privato, quando ciò persegua un pubblico interesse e tali decisioni siano adottate con ragionevolezza, in modo non discriminatorio e non improvviso.
Secondo la Corte, il Decreto è certamente ragionevole, in quanto adottato in un contesto in cui la remunerazione dei produttori era aumentata tramite il meccanismo di incentivazione, ma il sistema dei costi risultava essere divenuto eccessivamente oneroso per i consumatori finali; ragione questa per cui l’obiettivo del Decreto sarebbe stato quello di bilanciare gli interessi confliggenti mantenendo la sostenibilità delle energie rinnovabili in un contesto di proporzionalità dei costi.
La Corte non ha accolto le argomentazioni secondo le quali il Decreto sarebbe stato emanato “improvvisamente” o in un modo “imprevedibile”, così come non ha ritenuto di accogliere la tesi per la quale i diritti inerenti le tariffe incentivanti dovessero considerarsi quali “diritti quesiti” per un periodo di 20 anni in forza delle Convenzioni stipulate dagli operatori con il GSE. Secondo la Corte, antecedentemente all’adozione del Decreto, un produttore accorto e diligente avrebbe potuto rilevare che lo Stato Italiano aveva già introdotto delle misure atte a ridurre le tariffe incentivanti proporzionalmente alla diminuzione dei costi di investimento e, in particolare, alla riduzione delle componenti principali degli impianti FV. Tali misure sarebbero quindi state adottate al fine di stabilire una remunerazione più appropriata agli investimenti effettuati dagli operatori del settore.
Stabilendo quanto esposto sopra, la Corte sembrerebbe aver ignorato la storia del sistema di incentivazione degli impianti FV in Italia. Il regime normativo di riferimento è stato infatti fondato sulla legislazione europea che dal 2003, mediante l’emanazione di Direttive in materia di energie rinnovabili, aveva creato nel corso del tempo un sistema normativo stabile. Il piano Industriale Nazionale del 2010 aveva anche chiaramente stabilito gli obiettivi per la produzione energetica da fonti rinnovabili da raggiungere entro il 2020, piano in cui lo schema di incentivazione costituiva parte integrante per il raggiungimento di tali obiettivi. In tal senso precise previsioni contrattuali (Convenzioni) garantivano specificamente ai produttori un periodo incentivato nell’arco di 20 anni. La stabilità di tale sistema normativo vedeva l’Italia come paese all’avanguardia nel settore FV, stabilità normativa che, come detto, era persino riconosciuta da tutti i maggiori operatori bancari i quali finanziarono in modo rilevante gli investimenti nel settore.
La Corte ha altresì statuito che la riduzione della tariffa incentivante del 6%-8% (si veda l’opzione (c) summenzionata) non può considerarsi come “eccessiva” e in grado di poter generare una situazione di insostenibilità in quanto opzione prevista “esclusivamente” come residuale rispetto alle altre opzioni messe a disposizione degli operatori dal Decreto (si veda sopra).
Anche in questo caso sembrerebbe che la Corte non abbia effettuato alcuna analisi approfondita del settore e sulle conseguenze dovute alla scelta tra le tre opzioni.
Studi indipendenti hanno dimostrato che ciascuna delle opzioni indicate poteva e potrebbe condurre i produttori a non essere adempienti agli accordi dagli stessi conclusi con le banche finanziatrici dei loro progetti. L’opzione (c), come la più evidente, con la riduzione flat degli incentivi per l’intero periodo originariamente previsto di durata delle Convenzioni dei produttori con il GSE non può che evidentemente colpire in modo negativo i produttori. L’opzione (a), con la riduzione della tariffa e la contemporanea estensione del periodo di incentivazione da 20 a 24 anni, produrrà inevitabilmente effetti sui costi degli investimenti che erano originariamente pianificati per essere inferiori in quanto calcolati su base ventennale (ad esempio sui contratti di finanziamento, sui contratti di superficie, sui costi assicurativi etc.); si è peraltro ignorato nell’ambito di tale opzione che i pannelli fotovoltaici avranno notoriamente una minore efficienza dopo i 20 anni di utilizzo, riducendo così la loro capacità produttiva e conseguentemente gli introiti da essa derivanti. Infine, in merito all’opzione (b) si è ignorato il fatto che i contratti di finanziamento già conclusi con le banche avevano diversi presupposti numerici in merito agli introiti inerenti i primi 5 anni di esercizio degli impianti ed il fatto che il successivo incremento tariffario previsto per la seconda parte di vita dell’impianto verrebbe ad applicarsi quando i pannelli fotovoltaici diverranno meno efficienti, così da compromettere comunque gli introiti ricavabili dagli impianti. Tali argomentazioni erano state anche estensivamente articolate dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio nell’ordinanza di rinvio dei procedimenti dinnanzi la Corte Costituzionale, la stessa però non ha ritenuto di fornire alcuna risposta ai punti specifici evidenziati.
La Corte ha poi stabilito che il Decreto non è discriminatorio. I giudici costituzionali hanno ritenuto che la riduzione delle tariffe incentivanti solo per gli impianti di capacità superiore a 200 KW è giustificabile dal fatto che la maggioranza degli impianti beneficiari di considerevoli incentivi sono di fatto impianti con capacità superiore a 200 KW.
La Corte ha anche ritenuto che il Decreto non discrimini i produttori di energia fotovoltaica in rapporto con gli operatori delle altre fonti rinnovabili, anche se gli incentivi riconosciuti per questi ultimi derivano pur sempre dalla stessa componente (A3) di bolletta degli utenti finali. La Corte non ha offerto alcuna chiara spiegazione su tali questioni, anche se le discriminazione e le distorsioni alla concorrenza appaiono evidenti.
Infine, la Corte non ha ritenuto incostituzionali le nuove modalità di pagamento degli incentivi previste dal Decreto. Secondo tali modalità, i produttori ricevono un anticipo pari al 90% dell’importo incentivato a loro dovuto sulla base di una stima della produzione annuale media degli impianti e, alla fine del mese di Giugno dell’anno successivo, il saldo dell’importo residuo calcolato sulla base della produzione reale dell’impianto. La Corte ha stabilito che tale sistema non cagionerebbe alcun problema ai produttori in quanto proteso a creare un regime di pagamento stabile e più sicuro.
Anche per tali aspetti la Corte non appare aver considerato la circostanza che i produttori, concludendo dei contratti di finanziamento con le banche, avevano assunto e preventivato in tali contratti degli introiti basati sulla produzione reale degli impianti e non su una media annuale stimata. Sembra essere altresì stato ignorato il principio di diritto che la Pubblica Amministrazione debba, come noto, pagare i debiti contratti entro 30 giorni dall’emissione delle relative fatture.
Cosa fare ora?
Secondo il diritto italiano la sentenza della Corte Costituzionale non può essere sottoposta ad ulteriore impugnazione. Come tale, la decisione influenzerà inevitabilmente gli esiti dei procedimenti ancora pendenti davanti il Tribunale amministrativo, così come le loro potenziali impugnazioni avanti il Consiglio di Stato. Il Tribunale amministrativo applicherà infatti con certezza gli esiti del vaglio di legittimità costituzionale risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale. Una volta esauriti i mezzi di impugnazione previsti nel sistema giurisdizionale italiano, gli operatori del fotovoltaico potranno rimettere la controversia davanti alle Corti Europee.
Nel frattempo ed in termini più celeri, gli operatori e produttori intenzionati a ricorrere contro il Decreto Spalma Incentivi possono avvalersi di strumenti di tutela internazionale, non direttamente connessi al sistema giurisdizionale domestico, come nel caso dell’Energy Charter Treaty (“ECT”), il trattato di investimento multilaterale adottato a Lisbona nel 1994. Tra le diverse disposizioni, l’ECT garantisce agli investitori nel settore energetico l’esercizio di un’azione risarcitoria davanti ad una corte arbitrale internazionale, in modo particolare presso l’ICSID (International Centre for Settlement of Investment Disputes) o presso l’Istituto arbitrale della Camera di Commercio di Stoccolma, per i danni sofferti a seguito di misure adottate dallo Stato che sono di ostacolo agli investimenti nel settore energetico italiano.
In questo caso, appare evidente che i produttori e gli investitori siano stati colpiti da un improvviso e non prevedibile taglio agli incentivi per la produzione energetica da impianti fotovoltaici quando già gli accordi (Convenzioni) dagli stessi stipulati con il
GSE garantivano tali incentivi per un periodo di 20 anni a decorrere dalla data di entrata in esercizio degli impianti. L’arbitrato internazionale ECT concede agli operatori l’opportunità di richiedere il risarcimento dei danni subiti indipendentemente dalla dichiarazione di legittimità costituzionale del Decreto, attraverso la valutazione di arbitri internazionali indipendenti chiamati a risolvere tali dispute sulla base del diritto internazionale applicabile e mediante l’emanazione di un lodo immediatamente eseguibile in Italia. Alcuni fondi di investimento internazionali sono disponibili per la copertura totale dei costi legali richiesti per tali procedimenti.