L’approvazione di luglio 2024 della Direttiva UE 2024/1760 sulla Corporate Sustainability Due Diligence (“Direttiva”) impone alle aziende di riflettere sul dovere di diligenza che dovrebbe divenire operativo (per le grandi imprese, ma coinvolgerà anche quelle più piccole, parte della filiera) a partire da luglio 2026.
L’obbligo di monitorare nel tempo, attraverso apposite procedure di due diligence, il rischio di impatto sui diritti umani e/o sull’ambiente nell’ambito dell’intera catena di valore, deve essere integrato con misure volte a prevenire, mitigare nonché riparare – ove possibile – gli effetti avversi delle violazioni.
Tenendo conto della necessità per le aziende di coinvolgere i diversi partner commerciali in questo processo, è evidente che un ruolo fondamentale sarà svolto dalla contrattualistica commerciale.
Gli accordi con i fornitori dovranno, pertanto, contenere specifiche clausole che tengano conto degli obblighi previsti dalla Direttiva.
Un supporto nell’elaborazione di queste clausole potrebbe venire dalle Model Contract Clauses (“MCC”) elaborate dalla American Bar Association. Le MCC sono state elaborate per gestire il rischio di violazione dei diritti umani nell’ambito della catena di valore, le quali possono fornire spunti interessanti anche con riferimento alla violazione di norme ambientali.
Le MCC contemplano anzitutto un passaggio da una logica di dichiarazioni e garanzie a quella della due diligence. Si prevede, quindi, un impegno per ciascun contraente a predisporre e mantenere durante tutto il corso di vita del rapporto contrattuale una due diligence relativa al potenziale impatto della propria attività sui diritti umani. Questo obbligo è attualmente previsto dalla Direttiva ed è certamente opportuno che venga ribadito a livello contrattuale, precisando in maniera dettagliata i relativi obblighi delle parti. Le clausole prevedono peraltro la possibilità di inserire un obbligo di assistenza dell’acquirente al fornitore nell’ambito di tale processo.
Con riferimento all’ipotesi in cui venga riscontrato un impatto negativo attuale o potenziale sui diritti umani da parte del fornitore, le MCC prevedono l’obbligo di quest’ultimo di fornire all’acquirente (di beni e/o servizi) una dettagliata informativa sulla tipologia di impatto e sulle misure poste in essere per far fronte al medesimo. Le clausole prevedono anche l’obbligo per il fornitore di predisporre un apposito remediation plan, con precise scadenze e milestone, del cui adempimento il contraente dovrà fornire evidenza. Ove abbia contribuito alla violazione, l’acquirente dovrà fornire assistenza e risorse finanziarie per supportare la redazione e implementazione del remediation plan.
Tra le clausole di particolare interesse vi è quella relativa ai possibili rimedi a disposizione dell’acquirente in caso di impatto negativo sui diritti umani attribuibile al fornitore. Detti rimedi possono anche essere cumulativi e, in ogni caso, non escludono la possibilità di ricorrere alle tutele legali.
Tra gli altri, l’acquirente potrebbe:
- ottenere un provvedimento giudiziale che imponga al fornitore il rispetto degli obblighi previsti a tutela dei diritti umani;
- ottenere che il fornitore cessi i propri rapporti commerciali con specifici sub-fornitori, in caso di rischio di impatto negativo dell’attività di questi ultimi sui diritti umani;
- sospendere i pagamenti finché il fornitore non abbia posto in essere azioni riparative rispetto alla violazione dei diritti umani; e
- procedere con risoluzione del contratto e risarcimento dei danni.
Altra clausola, tra le MCC, che potrebbe avere un effetto deterrente è quella contenente il divieto per le parti di trarre beneficio dall’inadempimento realizzato: gli eventuali vantaggi economici ottenuti da uno dei due contraenti dovranno essere posti a supporto del processo di rimedio dell’impatto negativo sui diritti umani.
Questi esempi evidenziano come le MCC possano fornire un modello a cui ispirarsi nella predisposizione degli accordi commerciali in vista del recepimento della Direttiva, con un adattamento che tenga conto sia del contenuto ben più ampio della nuova normativa europea (che riguarda anche l’impatto sull’ambiente), sia delle specifiche caratteristiche delle attività e delle aziende coinvolte nella filiera di valore.
La riflessione da parte delle imprese sui propri modelli contrattuali dovrebbe in ogni caso iniziare sin da ora, per essere pronte al momento dell’entrata in vigore della normativa, ma anche per creare nell’ambito delle proprie catene di valore una cultura basata sul dovere di diligenza rispetto alla tutela dei diritti umani e dell’ambiente.