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Aggiornamenti settimanali sul Diritto del Lavoro in Italia14 September 2023

WEEKLY ITALIAN LABOUR UPDATES

"Anche se le parti a seguito del licenziamento rinunciano al preavviso, permane l’obbligo contributivo verso l’Inps."

Diritto del lavoratore di accesso ai dati raccolti dall’agenzia di investigazioni
Se il datore di lavoro ha incaricato un’agenzia investigativa di verificare comportamenti del lavoratore sanzionabili disciplinarmente, quest’ultimo ha il diritto di accedere ai propri dati personali contenuti nella relazione investigativa. Il datore di lavoro non può subordinare la richiesta di accesso del dipendente alle informazioni che lo riguardano alla previa specifica indicazione dei documenti che intende consultare. Il datore di lavoro doveva consentire al dipendente di accedere ai dati raccolti dall’agenzia investigativa e sulla cui base è stata formulata la contestazione disciplinare, indicando anche l’origine stessa dei dati. Il rifiuto posto dal datore di lavoro viola il principio di correttezza del trattamento dei dati e contrasta con l’art. 15 del Regolamento UE 2016/679 sul diritto di accesso dell’interessato ai dati oggetto di trattamento. Sulla scorta di queste considerazioni, il Garante ha irrogato all’impresa inadempiente una sanzione amministrativa di €10.000.
Garante della privacy, Newsletter 11/09/2023 con allegato Provvedimento 290/2023

Lavoro estero con trasferte in Italia e regime di retribuzione convenzionale
Il reddito di lavoro dipendente prestato in via continuativa all’estero è tassato sulla base della retribuzione convenzionale fissata annualmente (con decreto ministeriale) anche nel caso di brevi trasferte in Italia nel corso dell’anno. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che anche nel caso di occasionali periodi di lavoro resi in Italia del lavoratore distaccato all’estero si applica il regime dei valori imponibili forfettari determinati in forza della retribuzione convenzionale (ai sensi dell’art. 51, comma 8-bis, del Dpr 917/1986). Affinché si possa realizzare questa situazione, che consente di derogare alla determinazione analitica della base imponibile del reddito di lavoro dipendente, è necessario che l’attività lavorativa sia resa all’estero con carattere di sufficiente stabilità e che il lavoratore sia presente nello stato estero per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di 12 mesi. Ricorrendo questi presupposti, le occasionali trasferte in Italia per esigenze aziendali riconducibili alla società estera presso la quale il dipendente è distaccato non fanno venir meno il carattere di continuità del rapporto di lavoro all’estero e, dunque, esse non precludono l’applicazione del regime della retribuzione convenzionale.
Agenzia delle Entrate, Risposta a Interpello n. 428/2023

Impugnabile il verbale di conciliazione sottoscritto in Prefettura
Per la inoppugnabilità di un verbale di conciliazione, mediante il quale il lavoratore esprime rinunce ai propri diritti previsti da norme inderogabili di legge o contratto collettivo, è necessario che esso sia stato sottoscritto nell’ambito di una sede protetta tra quelle previste dall’art. 2113, ultimo comma, codice civile. È, altresì, necessario che il lavoratore abbia ricevuto effettiva assistenza sindacale, la quale si ritiene assolta se il lavoratore è stato messo nella condizione di comprendere a quali diritti rinuncia ed in quale misura. Questi requisiti sono tra loro interdipendenti e l’effettività dell’assistenza sindacale non può dirsi raggiunta se la firma del documento non è avvenuta in una delle sedi previste dalla norma codicistica (sede sindacale, ispettorato del lavoro, collegio di conciliazione e arbitrato). La Prefettura non ricade tra le sedi protette contemplate dall’art. 2113, ultimo comma, codice civile. Ne deriva che il verbale di conciliazione sottoscritto in tale sede non soddisfa il requisito della effettività dell’assistenza sindacale ed è impugnabile entro il termine di sei mesi dalla sua sottoscrizione.
Cass. (ord.) 05/09/2023 n. 25796

Immutabilità della contestazione disciplinare e nuova qualificazione dei fatti addebitati
Non si ha violazione del principio di immutabilità della contestazione disciplinare se con la lettera di licenziamento il datore di lavoro si limita a fornire una differente qualificazione agli stessi fatti inadempienti precedentemente contestati. Si ha, viceversa, violazione del principio di immodificabilità degli addebiti se cambiano i fatti posti a base della contestazione, vuoi perché il datore di lavoro opera una modificazione delle circostanze inadempienti contestate con la lettera di avvio del procedimento disciplinare, vuoi perché introduce nuove circostanze che non erano state precedentemente contestate. In applicazione di questo principio, è stata confermata la validità del licenziamento per giusta causa irrogato ad una lavoratrice che, dopo essersi rifiutata di firmare un ordine di servizio sugli orari di lavoro, ha minacciato e, quindi, aggredito i responsabili di cantiere. È irrilevante, infatti, che nella lettera di licenziamento tale condotta sia stata qualificata come “rissa”, mentre in sede di contestazione dell’addebito era stata ricondotta ad “insubordinazione”, perché i fatti alla base del licenziamento sono rimasti immutati.
Cass. (ord.) 07/09/2023 n. 26043

Decesso del lavoratore per cancro ai polmoni e mancato rispetto del divieto di fumo
Il datore di lavoro che non ha fatto rispettare il divieto di fumo nei locali ove viene resa la prestazione è tenuto a risarcire la vedova del lavoratore deceduto per un tumore ai polmoni. Poiché il defunto lavoratore non aveva il vizio del fumo e nell’ambiente lavorativo era diffusa l’abitudine di fumare, in virtù del criterio probabilistico deve ritenersi accertato il nesso causale tra l’insorgenza della neoplasia polmonare e l’esposizione del defunto al fumo passivo. La responsabilità del datore di lavoro emerge perché, pur a fronte di un’alta concentrazione di fumo nei locali dove il lavoratore defunto prestava servizio per almeno sei ore al giorno, non sono state prese misure per fare rispettare il divieto di fumo. Il risarcimento del danno alla vedova copre sia i danni patrimoniali, sia i danni non patrimoniali.
Trib. Lecce 07/09/2023 n. 2407

Ritorsività del licenziamento e reintegrazione in servizio
È ritorsivo il licenziamento irrogato sul presupposto di una situazione economica deficitaria tale da imporre la rinuncia alle prestazioni del lavoratore, se emerge che a distanza di pochi giorni è stato assunto un altro lavoratore per ricoprire le stesse attività e se viene, altresì, dimostrato che il lavoratore licenziato nei mesi immediatamente precedenti si era rivolto all’Ispettorato del Lavoro per ottenere il pagamento della mensilità supplementare e delle ore di lavoro straordinario. Il licenziamento si ritiene, in questo senso, ritorsivo quando l’intento di rappresaglia costituisce l’unica ragione che ha indotto il datore di lavoro a risolvere il rapporto e non ricorrono altre motivazioni idonee a giustificarlo. Posto che l’assunzione di un altro lavoratore per le stesse mansioni rendeva del tutto infondata la motivazione oggettiva del licenziamento, era inevitabile ricollegare il recesso datoriale alla denuncia del lavoratore all’Ispettorato del Lavoro. Dalla accertata ritorsività del licenziamento derivano la reintegrazione in servizio ed il versamento delle mensilità maturate “medio tempore”.
Corte d’Appello Catanzaro 11/08/2023 n. 934

Libertà di scelta del CCNL e limiti
Le imprese cooperative devono riconoscere ai soci lavoratori un trattamento retributivo non inferiore ai minimi contrattuali previsti dal CCNL comparativamente più rappresentativo del settore economico in cui esse operano. Questa regola è prevista dalla Legge 142/2001 (art. 3) e la sua funzione è duplice: da un lato, contrastare il fenomeno dei contratti collettivi sottoscritti da sigle sindacali minoritarie e poco rappresentative (cd. “contratti collettivi pirata”) e, dall’altro, impedire l’applicazione di un CCNL estraneo al settore di attività in cui opera l’impresa cooperativa. Nel caso in cui siano soddisfatti entrambi i suddetti requisiti – ovvero applicazione di un CCNL corrispondente al settore economico dell’impresa e sottoscrizione da parte delle associazioni sindacali maggiori – non può l’Ispettorato del Lavoro contestarne l’applicazione sul presupposto che i minimi retributivi in esso previsti siano inferiori ai canoni costituzionali di adeguatezza e sufficienza della retribuzione. In applicazione di questo principio è stata annullato il verbale dell’Ispettorato del Lavoro con cui era stato contestato ad una cooperativa che eroga servizi di reception e portierato la mancata applicazione del CCNL Pulizie Multiservizi in luogo del CCNL Vigilanza privata.
TAR Lazio, 28/06/2023

Condizioni di legittimità del contratto di lavoro a chiamata
Il lavoro intermittente (cd “lavoro a chiamata”) è consentito (art. 13, D.Lgs. 81/2015) in presenza di un requisito oggettivo, per cui la prestazione discontinua è resa in forza delle esigenze previste dai CCNL, e uno soggettivo, per cui la prestazione può essere svolta da soggetti con meno di 24 anni di età o più di 55 anni. I due requisiti sono tra loro alternativi, nel senso che laddove la prestazione discontinua sia resa da lavoratori che rientrano nei limiti di età previsti dall’art. 13 D.Lgs. 81/2015 non è necessario che sia (anche) sussistente una delle specifiche esigenze previste dal CCNL applicato dal datore di lavoro per il ricorso al contratto di lavoro a chiamata. Deve essere rigettata la lettura opposta, di cui si è fatta interprete la Corte d’Appello di Milano, per cui la legittimità del contratto intermittente presuppone che siano presenti entrambi i requisiti delle esigenze declinate dal contratto collettivo e dell’età del prestatore di lavoro. Sulla scorta di questa lettura è stata respinta la domanda del lavoratore che chiedeva di convertire il contratto di lavoro intermittente in un contratto full time a tempo determinato.
Cass. 24/07/2023 n. 22086

Licenziamento per mancato superamento della prova e nullità del patto
La nullità del patto di prova per omessa indicazione delle mansioni e del profilo professionale del lavoratore determina la automatica conversione del rapporto di lavoro in un’assunzione definitiva. In tale contesto, il licenziamento intimato per mancato superamento del periodo di prova determina conseguenze differenti a seconda che il rapporto di lavoro ricada nel regime di cui all’art. 18 Statuto dei Lavoratori (per gli assunti a tempo indeterminato fino al 6 marzo 2015) o delle tutele crescenti di cui al D.Lgs. 23/2015 (per gli assunti dal 7 marzo 2015). Nel primo caso, alla illegittimità del licenziamento consegue la reintegrazione sul posto di lavoro e il versamento di un’indennità risarcitoria fino ad un massimo di 12 mensilità (art. 18, comma 4, Statuto dei Lavoratori), mentre nel secondo caso compete unicamente l’indennità risarcitoria graduata tra un minimo di 6 mensilità e un massimo di 36 mensilità (art. 3, comma 1, D.Lgs. 23/2015). La ratio di questo diverso trattamento si spiega con il carattere “solo residuale” della tutela reintegratoria nell’impianto normativo delle tutele crescenti.
Cass. 14/07/2023 n. 20239