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Aggiornamenti settimanali sul Diritto del Lavoro in Italia30 May 2024

WEEKLY ITALIAN LABOUR UPDATES

"Il trasferimento del lavoratore presuppone comprovate esigenze aziendali rispetto alla sede di provenienza ed a quella di destinazione."

Il versamento spontaneo e reiterato nel tempo di una indennità economica costituisce uso aziendale
Se il datore di lavoro per anni ha incluso nella retribuzione dei lavoratori, attraverso un comportamento spontaneo e generalizzato, una indennità per maneggio denaro non prevista da alcuna norma di legge, la relativa voce entra nel patrimonio dei dipendenti e non può essere oggetto di restituzione. Il conferimento di un importo fisso aggiuntivo della retribuzione improntato a puro spirito di liberalità, che il datore abbia reiterato nel tempo in modo volontario a beneficio della popolazione aziendale, costituisce un uso aziendale che determina un corrispondente diritto dei lavoratori. L’uso aziendale ha lo stesso valore legale di un accordo aziendale e non può essere modificato unilateralmente dal datore di lavoro. Ne consegue che non può il datore pretendere unilateralmente la restituzione dell’indennità per maneggio denaro attraverso un piano di rientro, in quanto la reiterata e spontanea corresponsione di tale voce ha determinato l’insorgenza di un uso aziendale a vantaggio dei lavoratori.
Cass. (ord.) 22/05/2024 n. 14286

Anche la condizione di care giver è fattore di rischio di discriminazione
Il divieto di discriminazione diretta previsto dalla normativa sulla parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro non si riferisce solo alle persone disabili, ma si estende ai lavoratori che prestano assistenza al disabile. L’inclusione della “condizione di handicap” nell’elenco tassativo di fattori vietati di discriminazione previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 216/2003 non può essere ricondotto unicamente alla persona del lavoratore, ma va esteso alla persona che assiste il familiare in “condizione di handicap”. Lo stesso rilievo si ripropone rispetto all’art. 15, L. 300/1970, in quanto anche in tal caso il riferimento espresso all’handicap quale fattore di discriminazione non può intendersi limitato alla persona del lavoratore. Pertanto, se il datore di lavoro adotta nei confronti di un lavoratore non disabile, bensì titolare dei permessi per assistenza del disabile ex art. 33, Legge 104/1992, un trattamento meno favorevole rispetto ad altri lavoratori ed emerge che il trattamento deteriore è riconducibile alla disabilità del familiare assistito, si ricade nella fattispecie della discriminazione diretta.
Cass. (ord.) 20.5.2024 n. 13934

Rientrano nella retribuzione feriale le indennità associate alla mansione del lavoratore
Nella determinazione della retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie occorre tenere in considerazione la nozione europea di retribuzione del lavoratore durante il periodo di ferie annuali, così come interpretata dalla Corte di Giustizia. A tale fine, viene ricompreso nella retribuzione feriale qualsiasi importo economico collegato allo svolgimento delle mansioni e correlato allo status personale e professionale del lavoratore, al fine di evitare un effetto deterrente alla fruizione delle ferie da parte del lavoratore medesimo per il timore dell’incidenza sulla retribuzione del periodo di fruizione delle ferie. In applicazione di tali principi, le specifiche indennità (di utilizzazione professionale e di assenza dalla residenza) previste dalla contrattazione collettiva per compensare specifici disagi della mansione di macchinista devono essere ricomprese nella retribuzione feriale, in quanto la loro erogazione in misura ridotta o la mancata corresponsione durante il periodo di ferie risulta potenzialmente dissuasiva al godimento delle stesse da parte del lavoratore.
Cass., 21/05/2024, n. 14089

Nullo il licenziamento per causa di matrimonio della lavoratrice entro un anno dalle pubblicazioni
È stata confermata la nullità del licenziamento della lavoratrice effettuato entro un anno dalle pubblicazioni anche se per riorganizzazione aziendale, in quanto tale fattispecie non rientra tra le ipotesi tassative previste dalla legge per le quali il datore di lavoro può superare la presunzione legale che il licenziamento sia stato effettuato per causa di matrimonio. Pertanto, in caso di licenziamento temporalmente collegato a ridosso del matrimonio, ciò che rileva è il dato temporale che il licenziamento sia avvenuto entro l’anno dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, superabile laddove il datore di lavoro provi la sussistenza delle ipotesi di esclusione previste dalla legge (tra cui, una giusta causa rafforzata o la cessazione dell’attività aziendale).
Cass. (ord), 22/05/2024, n. 14301

Illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto in caso di richiesta (precedente) di aspettativa
È stato reintegrato il lavoratore licenziato per superamento del periodo di comporto, in quanto il datore di lavoro non aveva preso in considerazione la precedente richiesta del lavoratore ancora in servizio (nonostante le assenze continue per patologie croniche degenerative e con riacutizzazioni recidivanti) di usufruire dell’aspettativa prevista dal contratto collettivo. Infatti, laddove previsto dal CCNL, il datore di lavoro deve comunicare al lavoratore l’approssimarsi del superamento del periodo di comporto, in modo che il dipendente malato possa richiedere un periodo di ferie o di aspettativa per la conservazione del posto di lavoro. In ogni caso, anche in assenza di specifiche previsioni del contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, il datore di lavoro è tenuto ad adottare i cd. accomodamenti ragionevoli volti a preservare il posto di lavoro del dipendente malato mediante l’adozione di adattamenti organizzativi nel luogo di lavoro.
Cass. (ord.), 17/05/2024, n. 13766

Molestia sul lavoro e licenziamento per giusta causa
Il lavoratore cui è contestato di avere molestato una paziente della clinica privata può essere licenziato per giusta causa anche se il datore di lavoro non ha sentito la vittima delle molestie. A confermare la validità del licenziamento disciplinare sono sufficienti le dichiarazioni rese dalla persona offesa al dirigente della clinica e, in seguito, alla polizia giudiziaria. In tali dichiarazioni la paziente aveva denunciato la violenza sessuale subita e queste dichiarazioni erano state anche riprodotte nel referto del pronto soccorso. Benché dal referto non emergessero segni di violenza sulla persona della paziente, il referto ne riportava le dichiarazioni sull’assalto sessuale subito. Si tratta di c.d. “prove atipiche”, che il giudice può porre a fondamento del proprio convincimento sulla sussistenza della giusta causa, senza dover dare ingresso alla prova per testi.
Cass. (ord.) 14/05/2024 n. 13176

Videosorveglianza legittima solo con accordo sindacale o autorizzazione dell’ITL
La videosorveglianza nei contesti lavorativi – privati o pubblici – è legittima solamente se rispetta le garanzie previste dalla legge. Quindi, laddove le telecamere di videosorveglianza siano idonee a riprendere anche il personale che transita o sosta nei luoghi di lavoro, il trattamento dei dati personali dei lavoratori può essere effettuato dal datore di lavoro solamente in presenza di un preventivo accordo sindacale sulla videosorveglianza o di un’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro (art. 4, L. n. 300/1970). Sotto altro profilo, l’utilizzo dei dati raccolti tramite la videosorveglianza per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro è legittimo solamente se il datore di lavoro abbia dato ai lavoratori adeguate informazioni circa le modalità di effettuazione dei controlli e circa il trattamento dei dati (c.d. informativa privacy). In assenza di tali presupposti di legittimità, il datore di lavoro, in qualità di titolare del trattamento, è soggetto alle sanzioni amministrative previste dal Regolamento UE 2016/679 (c.d. GDPR).
Garante Privacy, Provvedimento 11/04/2024 n. 234

È agente di commercio l’influencer che promuove sui social la vendita dei prodotti
L’incarico che l’impresa attiva con l’influencer per promuove la vendita dei suoi prodotti, in modo stabile e continuativo attraverso i social network, si configura come un contratto di agenzia. Il compenso che l’influencer riceve in forma percentuale sulla vendita effettiva dei prodotti per i quali ha svolto l’attività promozionale sui canali social costituisce una provvigione collegata al mandato agenziale. I requisiti del mandato agenziale sono integrati considerando che la riconducibilità dell’acquisto all’influencer avviene perché i suoi follower acquistano i prodotti dell’impresa inserendo un codice di sconto personalizzato associato alla star del web. La zona del mandato agenziale è determinata, invece, dalla community dei seguaci dell’influencer. Sussistendo, in tal caso, i requisiti tipici del contratto di agenzia, l’impresa che si rivolge all’influencer per promuovere la vendita dei prodotti deve versare i contributi sulle provvigioni all’ente previdenziale di categoria.
Cass. 04/03/2024 n. 2615

Criticare il datore su WhatsApp non giustifica il licenziamento
È nullo, per violazione del divieto di discriminazione, il licenziamento per giusta causa irrogato al dipendente iscritto al sindacato che, attraverso messaggi su WhatsApp, esorta i colleghi a non restare indifferenti a fronte di un ambiente percepito come anomalo e ad istituire una rappresentanza sindacale per tutelare i diritti di tutti i lavoratori in azienda. L’inoltro sul social di messaggi di censura della condotta datoriale al fine di invitare altri lavoratori ad iscriversi al sindacato è inquadrabile nel diritto di critica e costituisce, inoltre, espressione di libertà sindacale derivante al lavoratore dagli articoli 1 e 14 della Legge 300/1970 e dall’articolo 21 della Costituzione, in quanto rientrante a pieno titolo nell’esercizio del diritto allo svolgimento di attività sindacale, di cui sono titolari tutti i lavoratori indistintamente, anche a prescindere da una specifica carica rappresentativa sindacale.
Corte d’Appello Ancona, 05/02/2024 n. 39

Illegittimo l’accesso alla e-mail aziendale del dipendente con funzione esplorativa
È stata confermata la natura ritorsiva del licenziamento fondato su informazioni acquisite dal datore di lavoro mediante controlli effettuati ex post sulla e-mail aziendale assegnata al dipendente in relazione a fatti precedenti all’insorgere di un fondato sospetto di un comportamento illecito del lavoratore. Il Tribunale di Roma ha, quindi, ribadito che il datore di lavoro non può eseguire controlli difensivi che hanno uno scopo esplorativo, ma può effettuare gli opportuni accertamenti – anche al di fuori dei limiti previsti dalla disciplina legale sui controlli a distanza – solamente a seguito dell’insorgere del fondato sospetto suscitato dalla condotta del lavoratore. Sono, pertanto, inutilizzabili a fini disciplinari le informazioni acquisite mediante controlli difensivi che riguardano fatti anteriori alla segnalazione e risulta, altresì, illegittimo l’accesso senza autorizzazione alla e-mail aziendale assegnata al dipendente per violazione della normativa sul trattamento dei dati personali.
Trib. Roma 14/02/2024

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