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"Il patto di prova deve essere previsto per iscritto e firmato da entrambe le parti prima dell'inizio del rapporto di lavoro."
Valido il ricorso agli investigatori per tutelare l’immagine aziendale
Il datore di lavoro può utilizzare gli investigatori per verificare le condotte del dipendente che integrano un’attività fraudolenta. Mentre è vietato il ricorso alle agenzie investigative per il controllo sull’adempimento dell’attività lavorativa, sono lecite le indagini investigative svolte per ragioni di tutela del patrimonio aziendale. Il patrimonio aziendale, del resto, non è costituito unicamente dai beni aziendali, ma anche dall’immagine esterna con cui l’impresa si accredita presso il pubblico. Su questi principi riposa la decisione di confermare la validità del licenziamento per giusta causa irrogato all’operatore ecologico, addetto alla raccolta porta a porta dei rifiuti, che durante l’orario di lavoro effettua frequenti soste del mezzo aziendale davanti ai bar della zona.
Cass. 02/04/2025 n. 8707
Nullità del patto di prova non sottoscritto dal datore di lavoro
L’apposizione del patto di prova al contratto di lavoro subordinato richiede la forma scritta a pena di nullità del patto medesimo (c.d. forma scritta ad substantiam). Affinché sia integrato il requisito della forma scritta, il patto di prova deve essere sottoscritto da entrambe le parti del rapporto di lavoro. Inoltre, tale sottoscrizione deve intervenire prima dell’inizio del rapporto medesimo, non essendo ammessa la possibilità di sanare l’eventuale carenza della sottoscrizione di una delle parti in un momento successivo. Ne deriva che il patto di prova apposto a un contratto di lavoro privo della firma del datore di lavoro è nullo e tale nullità non può essere sanata dal datore tramite la produzione in giudizio del contratto di lavoro con la sola firma del lavoratore, poiché tale evento produce i medesimi effetti della sottoscrizione del documento, ma solamente pro-futuro.
Cass. (ord.) 03/04/2025 n. 8849
Chiarimenti Inail sui termini di prescrizione dei premi di assicurazione
L’Inail ha fornito chiarimenti sui termini prescrizionali per la riscossione dei premi di assicurazione. Il termine di prescrizione è di cinque anni, di norma, e si computa dal giorno in cui avrebbe dovuto essere eseguito il pagamento. La notifica del verbale unico di accertamento e notificazione, tuttavia, è atto idoneo ad interrompere la prescrizione, se contiene la motivazione del credito e gli elementi per la sua determinabilità da parte del soggetto debitore. A tal fine, non è essenziale che nel verbale unico sia anche indicata la misura precisa del credito. Pertanto, a ritroso dalla data di notifica del verbale unico l’Inail può richiedere il pagamento dei premi assicurativi dovuti nei cinque anni precedenti. Il tempo di durata dell’accertamento ispettivo non è, invece, utile per bloccare il decorso della prescrizione, neppure in caso di accertamenti complessi da parte dell’Inail. Né sono idonei ad interrompere la prescrizione il verbale di primo accesso ispettivo dell’Inail e i verbali emessi da altri enti (es. Guardia di Finanza) e, quindi, trasmessi all’Inail.
INAIL, Circolare 07/04/2025 n. 26
Irriducibilità della retribuzione e superminimo non assorbibile
Il principio di irriducibilità della retribuzione desumibile dall’art. 2103 cod. civ. non opera in caso di “superminimo non assorbibile” previsto da due accordi collettivi aziendali, successivamente disdettati dal datore di lavoro, per ridurre il divario economico determinato dal cambio del CCNL applicato a seguito di una cessione di ramo d’azienda. In questo caso, il superminimo non assorbibile previsto da contratti collettivi costituisce fonte “esterna” al rapporto di lavoro e le clausole che lo prevedono possono essere modificate anche in peius da successivi contratti collettivi.
Cass. (ord.) 27/03/2025 n. 8150
Valido l’accordo collettivo di prossimità in deroga alle norme sul lavoro intermittente
Gli accordi collettivi di prossimità (previsti dall’art. 8, Legge 148/2011, cd “Legge Sacconi”) firmati dai rappresentanti sindacali di sigle comparativamente più rappresentative e finalizzati all’incremento dell’occupazione e della competitività aziendale possono derogare alle norme di legge in materia di lavoro intermittente (cd. “job on call”). Il lavoro intermittente rientra nell’ampia categoria dei “contratti a termine, quello ad orario ridotto, modulato o flessibile” per cui l’art. 8 consente tramite accordo di prossimità (si tratta di accordi aziendali o territoriali con efficacia erga omnes) di derogare alle disposizioni di legge, salvo il rispetto dei principi costituzionali e delle convenzioni internazionali. Su queste basi, è stata riconosciuta la validità di un accordo aziendale che prevedeva il ricorso ai contratti intermittenti anche per fasce di età escluse dalla norma di legge, in quanto altre misure presenti nell’accordo aziendale consentivano di perseguire un incremento dei livelli occupazionali.
Cass. 10/02/2025 n. 3353
Contratto di apprendistato e trasformazione a tempo indeterminato in caso di omessa formazione
Il contratto di apprendistato è un contratto a causa mista, che prevede la prestazione di lavoro a fronte dell’obbligo datoriale non solo di corrispondere la retribuzione, ma anche di formare il lavoratore per consentirgli l’acquisizione della specifica qualifica oggetto dell’apprendistato. In questo contesto, la mancata o carente formazione dell’apprendista comporta la nullità del contratto di apprendistato per mancanza di causa, da cui deriva la trasformazione del rapporto ab origine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Inoltre, quale ulteriore conseguenza della nullità del contratto di apprendistato per omessa o carente formazione, al lavoratore è riconoscimento il trattamento giuridico ed economico previsto dagli accordi collettivi a partire dalla data di avvio del rapporto di lavoro.
Cass. (ord.) 16/03/2025 n. 6990
Genuinità dell’appalto endo-aziendale e potere di controllo della committente
La genuinità dell’appalto di servizi presuppone in capo all’appaltatore l’organizzazione dei mezzi necessari e l’assunzione del rischio d’impresa. L’organizzazione dei mezzi presuppone che il potere di direzione e controllo sui lavoratori sia esercitato dalla società appaltatrice. Tuttavia, l’applicazione di questi principi va adattata al caso concreto, ragion per cui è fuorviante ritenere che siamo in presenza di un appalto illecito solo perché vi è stata un’ingerenza della committente nelle modalità di gestione del personale. Per alcune attività appaltate, tra cui quelle endo-aziendali, l’esecuzione dei servizi appaltati, che avvengono all’interno dello spazio aziendale della committente, richiede un’interazione tra i dipendenti dell’appaltatore e il committente, la cui portata va valutata in concreto. Se il potere di controllo della committente non interviene direttamente sulle mansioni dei dipendenti dell’appaltatrice, ma attiene all’esecuzione del servizio appaltato, non si ricade nella fattispecie dell’appalto illecito.
C. App. Napoli 17/03/2025 n. 969
Tassazione dei veicoli aziendali ad uso promiscuo
La disciplina fiscale delle auto aziendali concesse ai dipendenti ad uso promiscuo (art. 51, comma 4, lett. a), Tuir) è stata modificata dalla Legge di Bilancio 2025 con l’incremento al 50% della base imponibile per gli autoveicoli tradizionali (quelli di cui all’art. 54, comma 1, lett. a), c) e m), Codice della strada) e riduzione al 10% per i veicoli esclusivamente elettrici e al 20% per i veicoli elettrici ibridi plug-in. Ad avviso di Assonime le nuove regole che modulano l’imposizione fiscale in base al tipo di alimentazione del veicolo si applicano alle auto aziendali concesse ad uso promiscuo con contratto stipulato dal 1° gennaio 2025, restando escluse le auto concesse in uso privato in base a contratto stipulato in data antecedente al nuovo anno. Inoltre, è necessario che si tratti di autoveicoli assegnati e immatricolati a decorrere dal 1° gennaio 2025.
ASSONIME, Circolare 03/04/2025 n. 7
Abuso dei permessi per assistenza di disabile
È legittimo il licenziamento del lavoratore che usa due giornate di permessi ex art. 33 della Legge 104/1992 per dedicarsi ad attività personali e non per assistere il familiare disabile. Il lavoratore si rende, in tal caso, responsabile di un abuso del diritto che integra gli estremi della giusta causa di recesso. L’abuso si configura non soltanto quando l’assistenza manchi del tutto, ma anche quando sia prestata per tempi irrisori. Questo rigore è giustificato, tra l’altro, dal rilievo che il datore di lavoro sopporta un sacrificio organizzativo per i giorni di assenza del dipendente in permesso per assistenza di disabile. Tale sacrificio è giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore come meritevoli di superiore tutela, ma se il dipendente ne fa un uso arbitrario per finalità estranee lede irreparabilmente il vincolo fiduciario alla base del rapporto.
Trib. Benevento, 24/03/2025 n. 366
Esonero dall’obbligo di preavviso per il lavoratore padre
Il lavoratore dimissionario con figlio di età inferiore a un anno ha diritto all’esonero dal periodo di preavviso anche se non ha fruito del congedo di paternità. La legge (art. 55, D.lgs. n. 151/2001) prevede, in questo senso, che il padre lavoratore, che renda le dimissioni volontarie entro l’anno di vita del figlio, non sia tenuto a osservare il preavviso. Non è corretta la tesi per cui l’esonero di cui alla norma operi solo a condizione che il padre lavoratore abbia fruito del congedo di paternità. La fruizione del congedo risponde, infatti, a tutt’altre finalità, tra cui il diritto di accedere alla NASpI in caso di risoluzione del rapporto. L’esonero dall’obbligo di preavviso previsto dalla legge, inoltre, prevale su eventuali patti individuali di riduzione del periodo di preavviso in caso di dimissioni.
Trib. Bari 12/03/2025 n. 999
Frasi offensive sull’orientamento sessuale del collega sono giusta causa di licenziamento
È legittimo il licenziamento del dipendente che ha pronunciato frasi offensive sull’orientamento sessuale del collega, anche se non è emerso che le frasi siano state pronunciate dal suo autore con l’intento soggettivo di infliggere molestie al collega. Nel contesto lavorativo ciascun dipendente ha il dovere di rispettare la dignità altrui e l’ordinamento si preoccupa di assicurare il pieno rispetto di qualunque scelta di orientamento sessuale. In forza di questo apparato, le frasi connotate da una componente offensiva rispetto all’orientamento sessuale di un collega costituiscono una molestia, integrando gli estremi della discriminazione. Il baricentro della tutela contro le discriminazioni sessuali poggia sul rilievo del contenuto oggettivo della condotta, nonché sulla percezione soggettiva da parte della vittima, mentre non è necessaria l’intenzione di infliggere molestie da parte del lavoratore che ha pronunciato le frasi alla base del licenziamento disciplinare.
Cass. (ord.) 10/03/2025 n. 6345
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