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Aggiornamenti settimanali sul Diritto del Lavoro in Italia10 June 2021

WEEKLY ITALIAN LABOUR UPDATES

"Se riconosciuta attraverso un accordo collettivo aziendale, la retribuzione variabile legata al conseguimento di indicatori di produttività è soggetta all’applicazione di un’aliquota fiscale ridotta e ad un parziale esonero contributivo per il datore di lavoro."

Definite le competenze del Mobility manager aziendale
Il Ministero della Transizione ecologica e delle Infrastrutture ha definito le competenze del Mobility manager aziendale, il cui ruolo è di coadiuvare l’impresa nell’adozione del Piano degli spostamenti casa/lavoro, nonché nella programmazione e gestione delle iniziative aziendali di mobilità sostenibile (es. car pooling, car sharing). A tale proposito, il Decreto Rilancio (art. 229, co. 4, D.L. 34/2020) ha previsto che le imprese con unità locali con più di 100 dipendenti siano tenute all’adozione di un Piano degli spostamenti casa/lavoro per i dipendenti, il cui scopo risiede nella riduzione dell’uso del mezzo privato in una prospettiva di mobilità territoriale sostenibile. Il Piano è obbligatorio e a regime dovrà essere adottato dalle imprese coinvolte entro il 31 dicembre di ciascun anno.
Ministero della Transizione ecologica, Decreto 12/05/2021 (pubblicato in G.U. il 26/05/2021)

Legittima la riduzione di personale limitata ad un settore dell’azienda
Se la ristrutturazione aziendale alla base della riduzione di personale è limitata esclusivamente ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore aziendale, la procedura di licenziamento collettivo può essere circoscritta ai lavoratori che operano in tale contesto più ristretto. La delimitazione della platea dei lavoratori presuppone, tuttavia, che nella comunicazione preventiva alle rappresentanze sindacali siano esposte le ragioni per cui il perimetro dei licenziamenti è circoscritto ad una determinata unità produttiva o settore dell’azienda, indicando anche i motivi per i quali non è possibile disporre il trasferimento dei lavoratori in altre unità o settori aziendali. Infine, è richiesto che i lavoratori coinvolti svolgano mansioni infungibili, tali da non poter essere ricoperte da altri lavoratori nel più ampio contesto dell’intera impresa.
Cass. 28/05/2021 n. 14677

Non si computano nel licenziamento collettivo le procedure di licenziamento individuale terminate con risoluzione consensuale
La Cassazione ha affermato che non rientrano nel calcolo dei 5 dipendenti, da cui scatta l’obbligo della procedura collettiva di riduzione del personale, i recessi conclusi nell’ambito delle procedure di licenziamento individuale per motivo oggettivo. L’art. 7 L. 604/1966 prevede per i vecchi assunti (quelli prima del jobs act) che, se il datore intende procedere ad un licenziamento economico, deve prima attivare un tentativo di conciliazione presso l’ITL. Ad avviso della Corte, “l’intenzione di procedere al licenziamento” non equivale, tuttavia, ad un atto di licenziamento. Pertanto, se la procedura individuale si conclude con accordo di risoluzione consensuale, a fronte di un incentivo all’esodo con accesso all’indennità di disoccupazione Naspi, siamo fuori dal contesto dei licenziamenti collettivi.
Cass. 31/05/2021 n. 15118

Parità di retribuzione tra i sessi per lavori di pari valore
Il principio di parità di retribuzione tra lavoratori e lavoratrici, sancito dall’art. 157 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, è direttamente applicabile non solo a fronte di uno “stesso lavoro”, ma anche in caso di un “lavoro di pari valore”. È da respingere la tesi per cui, al fine di applicare il principio di parità di trattamento tra lavoratori maschi e femmine al “lavoro di pari valore” sia necessaria una disposizione (del diritto nazionale o comunitaria) volta a precisare in termini più specifici il contenuto del predetto principio.
Corte di Giustizia UE 03/06/2021 (causa C-624/19)

In presenza di somministrazione regolare, lecito applicare la previdenza dello Stato di origine
Il lavoratore interinale assunto da un’agenzia per il lavoro in uno Stato membro dell’Unione Europea e inviato in missione presso un’impresa utilizzatrice ubicata in un altro Stato membro può mantenere la posizione previdenziale dello Stato di provenienza, ma solo a condizione che questa operazione non celi una situazione fraudolenta. L’operazione è da ritenersi fraudolenta se nello Stato di provenienza viene costituita un’agenzia per il lavoro fittizia, il cui unico scopo è quello di beneficiare del regime previdenziale più favorevole offerto da questo paese rispetto allo Stato membro in cui la prestazione viene effettivamente svolta.
Corte di Giustizia UE 03/06/2021 (causa C-784/19)

Non è appalto fraudolento se le direttive del committente sono dirette al risultato della prestazione
La circostanza che il personale della committente impartisca disposizioni ai lavoratori dell’impresa appaltatrice non è elemento idoneo, di per sé, ad integrare gli estremi dell’appalto fraudolento. Se le direttive attengono ai soli risultati dell’appalto affidato all’appaltatrice, infatti, esse sono coerenti con un appalto genuino. Se, invece, le direttive attengono alle modalità di svolgimento della prestazione e comportano un assiduo controllo sull’attività dei lavoratori dell’impresa appaltatrice si configura un appalto fraudolento.
Cass. 11/05/2021 n. 12413

In assenza di nesso causale con il progetto di ridimensionamento aziendale scatta il reintegro in servizio
Se manca il nesso causale tra il progetto di ridimensionamento aziendale e il licenziamento intimato al dipendente per motivo oggettivo, ricorre l’ipotesi, prevista dall’art. 18, comma 7, Statuto dei lavoratori, della “manifesta insussistenza del fatto” alla base del recesso datoriale. Consegue a tale accertamento il diritto del dipendente alla reintegrazione sul posto di lavoro ed al risarcimento del danno (nel limite massimo di 12 mensilità), con obbligo del datore di lavoro al versamento dei contributi per il periodo dal licenziamento alla reintegrazione.
Cass. 19/05/2021 n. 13643

Esclusa responsabilità per infortunio dell’ente ex L. 231/2001 in assenza di profitto
La responsabilità del datore di lavoro per l’infortunio del dipendente non comporta anche la responsabilità della società ai sensi della Legge 231/2001, se la violazione delle norme antinfortunistiche deriva unicamente da una sottovalutazione dei rischi e non è riconducibile all’intenzione di risparmiare sui costi e di massimizzare sui profitti. In tal caso il reato non è commesso nell’interesse o a vantaggio della società e, pertanto, non si ricade nell’ambito della responsabilità dell’ente ai sensi della Legge 231/2001.
Cass. 08/06/2021 n. 22256