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"Il licenziamento per superamento del periodo comporto non richiede di preallertare il lavoratore dell’imminente scadenza, salvo previsione apposita del CCNL."
Trasferimento d’azienda nullo e collocamento in pensione del lavoratore
Se il trasferimento di ramo d’azienda è stato dichiarato illegittimo in mancanza dei presupposti di cui all’art. 2112 cod. civ., la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con il cessionario di fatto e il versamento al lavoratore di un incentivo all’esodo non impediscono al medesimo lavoratore di chiedere il pagamento di tutte le retribuzioni arretrate all’impresa cedente. Il diritto di vedersi riconosciute dal cedente le retribuzioni medio tempore maturate permane anche se, nel frattempo, il lavoratore ha conseguito la pensione di anzianità. A tale conclusione si perviene in quanto la disciplina sull’incompatibilità tra percezione del reddito di lavoro dipendente e trattamento pensionistico non è nella disponibilità delle parti del rapporto di lavoro.
Cass. 4/10/2022 n. 28824
Contratto d’appalto certificato impone all’Agenzia delle Entrate di ricorrere al giudice del lavoro
Se il contratto d’appalto di servizi è stato certificato in base all’apposita procedura introdotta dalla Legge Biagi (Decreto Legislativo 276/2003), l’Agenzia delle Entrate non può unilateralmente riqualificarlo come una somministrazione irregolare di manodopera. La certificazione del contratto d’appalto impone anche all’Agenzia delle Entrate di seguire l’apposita procedura (art. 80 D.Lgs. 276/2003) sui contratti certificati, posto che sono soggetti terzi nei cui confronti la certificazione produce i suoi effetti anche le pubbliche amministrazioni. Pertanto, se ritiene di contestare una somministrazione irregolare, l’Agenzia delle Entrate deve prima presentare ricorso al giudice del lavoro e contestare in quella sede la validità del contratto d’appalto. Solo se il giudice del lavoro riconosce la non genuinità dell’appalto, l’Agenzia delle Entrate avrà titolo per contestare all’impresa la somministrazione irregolare e chiedere l’adeguamento della tassazione per IVA e Irap.
Corte di giustizia tributaria di II grado dell’Emilia-Romagna, 03/10/2022 n. 1115
Interpretazione delle clausole dubbie del contratto collettivo
In presenza di clausole dubbie del contratto collettivo, la comune volontà delle parti deve essere ricercata valorizzando il senso letterale delle espressioni utilizzate dalle parti contraenti e la ratio che ispira la norma contrattuale da interpretare. I due canoni non sono uno gerarchicamente subordinato all’altro, bensì vanno utilizzati dall’interprete parallelamente, convergendo verso una lettura comune della norma. Il senso letterale delle parole non deve essere ricercato attraverso una interpretazione isolata delle singole norme, bensì attraverso una lettura che abbracci tutto il testo del contratto collettivo e consenta di pervenire ad una lettura coordinata, che consenta di attribuire lo stesso significato alle medesime espressioni. Infine, la corretta interpretazione delle clausole dubbie non può prescindere dalla valutazione del comportamento delle parti successivamente alla stipula del contratto collettivo.
Cass. 30/09/2022 n. 28550
Valida la deroga in pejus con la successione dei contratti collettivi
In caso di successione nel tempo di contratti collettivi, le modifiche peggiorative per i lavoratori in sede di rinnovo sono sempre valide e ammissibili, ad eccezione di quelle che si riferiscono ai diritti quesiti. Sono diritti quesiti quelli che si riferiscono a prestazioni che sono entrate nel patrimonio del lavoratore per essere maturate a loro favore prima della sottoscrizione del nuovo contratto (es. maggiorazioni retributive disposte dal precedente contratto collettivo per attività svolte prima del rinnovo). Fermo il rispetto dei diritti quesiti, il lavoratore non può pretendere che il trattamento più favorevole assicurato in forza del cessato contratto collettivo sia mantenuto nonostante il nuovo contratto collettivo rechi una disciplina peggiorativa di specifici istituti contrattuali. Il criterio della permanenza del trattamento più favorevole si applica nel rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale, ma non opera nella successione dei contratti collettivi.
Cass. 30/09/2022 n. 28549
Pagamento del patto di non concorrenza in costanza di rapporto
Il corrispettivo del patto di non concorrenza può essere pagato in costanza di rapporto e tale soluzione non ne pregiudica la validità, in quanto è coerente con le esigenze sottese al patto che il corrispettivo aumenti in relazione alla maggiore durata del rapporto di lavoro. La previsione di un compenso versato su base periodica in costanza di rapporto soddisfa l’interesse di entrambe le parti, in quanto all’incremento del compenso determinato dalla maggiore durata del rapporto di lavoro si accompagna l’accrescimento del know-how del lavoratore. L’incremento progressivo del corrispettivo del patto di non concorrenza compensa, da un lato, le maggiori difficoltà che il lavoratore può incontrare nel ricollocarsi in settori diversi da quelli vietati e, d’altro lato, è il contrappeso al maggiore interesse datoriale ad impedire che il lavoratore non operi in concorrenza dopo la cessazione del rapporto di lavoro.
Corte d’Appello Milano, 13/09/2022, Rel. Bertoli
Motivo ritorsivo comporta nullità del licenziamento solo se esclusivo
La nullità del licenziamento per motivo illecito presuppone che il lavoratore provi che l’intento ritorsivo sia stato la ragione esclusiva e determinante della decisione datoriale di interrompere il rapporto. Se vi sono altre ragioni che, in una prospettiva concorrente con il motivo illecito, hanno inciso anch’esse sulla determinazione datoriale, quale una giusta causa o un giustificato motivo di licenziamento, il fattore ritorsivo, pur presente, non è idoneo a determinare la sanzione della nullità e la conseguente applicazione del regime di tutela reale forte (reintegrazione in servizio e risarcimento del danno in misura pari a tutto l’intervallo non lavorato). L’onere della prova del carattere ritorsivo del licenziamento ricade per intero sul lavoratore, ma esso potrà essere provato attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti.
Cass. 07/09/2022 n. 26395
Infezione virale (Epatite C) contratta sul lavoro è malattia professionale
I virus contratti sul luogo di lavoro, tra cui l’Epatite C, sono da considerare una malattia professionale, con i connessi diritti alle coperture INAIL, anche se non viene dimostrato l’evento infettivante. La malattia professionale può essere generata dall’azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell’organismo del lavoratore, ne alterano l’equilibrio anatomo-fisiologico. Perché la contrazione del virus sia considerato malattia professionale è necessaria una relazione causale con la prestazione dell’attività lavorativa, la quale può, tuttavia, emergere anche per effetto di presunzioni semplici. A tal fine, non è rilevante che l’infezione virale si manifesti a distanza di un certo tempo e che alla base dell’infezione non vi sia uno specifico episodio o contatto infettante.
Cass. (ord.) 19/09/2022 n. 29435
Valido l’accordo transattivo privo di sottoscrizione se eseguito dalle parti
L’accordo transattivo nel quale è stato previsto il pagamento al lavoratore di un importo a “soddisfazione di qualsiasi pretesa, attuale e potenziale”, a fronte della rinuncia del lavoratore a far accertare la nullità del contratto di apprendistato e la illegittimità del successivo licenziamento, nonché ogni altra rivendicazione connessa all’intercorso rapporto di lavoro, è valido e vincolante anche se il lavoratore non ha sottoscritto l’accordo. La circostanza che le parti abbiamo messo in esecuzione l’accordo transattivo, come si evince dallo scambio di email e di messaggi su WhatsApp, supera l’eccezione della sua mancata sottoscrizione e conferma la validità dell’accordo stesso, che ha prodotto rinunce tombali a beneficio del datore di lavoro.
Trib. Avellino, Giudice Luce, 08/09/2022
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