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Sostenibilità e corporate governance: verso lo “stakeholderism”?20 December 2022

Il tema dell’impatto dello sviluppo sostenibile nella corporate governance di una società è oggetto di dibattito ormai da qualche anno, sia a livello nazionale che europeo.

Nel 2018 la Commissione UE ha dato avvio all’Action Plan on Financing Sustainable Growth, che tra gli obiettivi aveva quello di verificare l’eventuale esigenza di istituire l’obbligo per i Consigli di Amministrazione di sviluppare e rendere nota una strategia di sostenibilità, definire obiettivi misurabili di sostenibilità e precisare eventuali regole in forza delle quali agli amministratori venga richiesto di agire per il perseguimento di obiettivi di lungo termine della società.

"Gli scopi della Direttiva sono quelli di promuovere una condotta societaria sostenibile e responsabile e di inserire nell’attività delle imprese e nella corporate governance anche valutazioni relative ai diritti umani e all’ambiente."

Il percorso così intrapreso ha condotto come primo obiettivo di rilievo giuridico all’adozione da parte della Commissione Europa di una proposta di Direttiva del 23 febbraio 2022 in materia di corporate sustainability due diligence (la “Direttiva”).

La sostenibilità entra quindi nel campo della hard law in un testo ad essa interamente dedicato.

Come indicato dalla stessa Commissione Europea gli scopi della Direttiva sono quelli di promuovere una condotta societaria sostenibile e responsabile e di inserire nell’attività delle imprese e nella corporate governance anche valutazioni relative ai diritti umani e all’ambiente. Nella Relazione alla proposta di Direttiva si legge che “dato il numero rilevante di fornitori nell’Unione e nei paesi terzi e la complessità generale delle catene del valore, le società dell’UE, comprese quelle di grandi dimensioni, possono incontrare difficoltà a individuare e attutire, nelle catene del valore cui partecipano, i rischi legati al rispetto dei diritti umani o agli impatti ambientali. L’individuazione di tali impatti negativi nelle catene del valore diventerà più agevole se un maggior numero di società adempierà il dovere di diligenza e, di conseguenza, saranno disponibili maggiori dati sugli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente.

Inoltre, Il collegamento tra l’economia dell’UE e milioni di lavoratori in tutto il mondo attraverso le catene globali del valore comporta la responsabilità di parare gli impatti negativi sui diritti di tali lavoratori”.

Con questi obiettivi di fondo, quindi, la Direttiva interessa le (i) grandi società con sede in UE, o quelle con fatturati superiori a 40 milioni di Euro che operano in settori ad alto impatto (quali quello tessile, agricolo, alimentare, o quello dell’estrazione e commercio di risorse minerarie); (ii) imprese di paesi terzi, operanti nella UE, aventi le medesime caratteristiche di quelle UE.

Le PMI rimangono fuori dall’ambito di applicazione della Direttiva, tuttavia potranno essere coinvolte nell’applicazione delle norme in considerazione della loro eventuale partecipazione alle filiere produttive delle grandi imprese.

Sulla base della Direttiva, le imprese coinvolte dovranno:

(i)     integrare il dovere di diligenza nelle politiche aziendali;
(ii)     individuare gli effetti negativi reali o potenziali sui diritti umani e sull’ambiente;
(iii)    prevenire o attenuare gli effetti negativi potenziali;
(iv)    porre fine o ridurre al minimo gli effetti negativi reali;
(v)     istituire e mantenere una procedura di denuncia;
(vi)    monitorare l’efficacia delle politiche e delle misure di dovuta diligenza;
(vii)    e dar conto pubblicamente del dovere di diligenza.

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"Allo stato attuale non è agevole prevedere come la Direttiva verrà trasposta nell’ordinamento interno e come evolverà il dibattito sul tema, tuttavia appare difficile immaginare che il documento rimarrà privo di impatto sul ruolo degli amministratori nelle società di capitali."

La Direttiva prevede altresì specifici obblighi per gli amministratori:

(i)     enere conto delle conseguenze in termini di sostenibilità, a breve, medio e lungo termine, comprese, se del caso, le conseguenze per i diritti umani, i cambiamenti climatici e l’ambiente;
(ii)     predisporre le azioni di diligenza previste dalla Direttiva e vigilare sulla loro attuazione, tenendo in considerazione i contributi dei portatori di interessi e delle organizzazioni della società civile.

Nonostante diversi punti deboli e incertezze interpretative- la Direttiva introduce un importante mutamento di prospettiva nell’attività delle società di capitali e dei loro amministratori.

In particolare, gli amministratori saranno obbligati a operare valutazioni di lungo termine rispetto alle strategie adottate, tenendo conto di stakeholders diversi dagli azionisti. Da parte di alcuni interpreti è stato rilevato come le norme proposte non possano in realtà alterare il regime giuridico della responsabilità degli amministratori, che continueranno a rispondere solo ove le azioni poste in essere violino precise disposizioni normative in materia di diritti umani e/o tutela dell’ambiente. Ciò sembrerebbe dimostrato anche dall’elenco delle violazioni in materia di diritti umani e tutela dell’ambiente contenute in Convenzioni internazionali e riportate all’Allegato 1 della Direttiva.

Allo stato attuale non è agevole prevedere come la Direttiva verrà trasposta nell’ordinamento interno e come evolverà il dibattito sul tema, tuttavia appare difficile immaginare che il documento rimarrà privo di impatto sul ruolo degli amministratori nelle società di capitali.

L’introduzione di un obbligo di bilanciamento di interessi è allo stato attuale una novità e va valutato – inter alia – in relazione a quanto disposto dall’art. 22 della Direttiva, che prevede che gli Stati membri dovranno introdurre forme di responsabilità civile per le società che violino le prescrizioni sulla prevenzione e limitazione degli impatti negativi su diritti umani e ambiente. L’eventuale condanna di una società, sotto questo profilo, potrebbe comportare la responsabilità dell’amministratore nei confronti della medesima per violazione degli obblighi previsti dalla Direttiva.

Nonostante l’iter di approvazione e di implementazione potrebbe essere lungo, le società e in particolare i loro amministratori dovranno, quindi, iniziare a impostare le loro azioni in modo tenendo altresì conto della loro sostenibilità. Tale percorso dovrà essere intrapreso con particolare attenzione dalle PMI, che siano o aspirino ad essere parte di filiere produttive connesse a grandi aziende; tale aspetto diverrà, infatti, centrale nella selezione dei partners commerciali e il rapido sviluppo di una cultura della sostenibilità aziendale potrà essere un importante elemento di vantaggio sugli eventuali concorrenti.

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