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Aggiornamenti settimanali sul Diritto del Lavoro in Italia1 August 2024

WEEKLY ITALIAN LABOUR UPDATES

"In presenza di caldo eccessivo le imprese possono fare istanza di cassa integrazione per sospensione dell’attività."

La certificazione del contratto d’appalto non è opponibile all’Agenzia dele entrate
La certificazione del contratto d’appalto da parte delle commissioni abilitate in forza della Legge Biagi (artt. 75 e segg., Decreto Legislativo 276/2003) non limita il potere del giudice tributario di qualificare diversamente l’operazione economica sottostante al contratto stipulato dalle parti. Il giudice tributario, pur a fronte di un contratto d’appalto di cui l’ente certificatore ha riconosciuto la regolarità, ha titolo per riqualificare il rapporto sottostante alla stregua di una somministrazione illecita di manodopera sul presupposto dell’assenza di autonomia organizzativa e di genuino rischio d’impresa in capo all’appaltatrice. L’Agenzia delle Entrate non è, dunque, tenuta ad impugnare preventivamente davanti al Giudice del lavoro il contratto d’appalto certificato, come richiesto dalla disciplina di legge, ma può notificare immediatamente un avviso di accertamento per recuperate a tassazione le deduzioni dalla base imponibile Irap dei costi per il personale fittiziamente configurati quali prestazioni di servizi, nonché la detrazione della relativa Iva.
Cass. (ord.) 29/07/2024 n. 21090

Trattamento di integrazione salariale per caldo eccessivo
L’Inps ha chiarito che possono presentare istanza di cassa integrazione per sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, in caso di ordinanza della pubblica autorità o caldo eccessivo, i datori di lavoro che hanno accesso al trattamento ordinario di integrazione salariale (CIGO) o al Fondo di integrazione salariale (FIS) o ai fondi di solidarietà bilaterali. L’Inps precisa che la prestazione di integrazione salariale potrà essere riconosciuta qualora le temperature medesime risultino superiori ai 35° centigradi di temperatura “percepita”, per la valutazione della quale il datore di lavoro dovrà precisare la tipologia e le condizioni dell’attività svolta dai lavoratori (a titolo esemplificativo, comportano un aumento della temperatura percepita lo svolgimento di attività in luoghi esposti al sole in assenza di protezioni o l’impiego di strumenti di protezione quali tute e caschi). Nel caso in cui la sospensione o la riduzione delle attività lavorative sia disposta con ordinanza della pubblica autorità, i datori di lavoro possono richiedere l’integrazione salariale invocando la causale “sospensione o riduzione dell’attività per ordine di pubblica autorità per cause non imputabili all’impresa o ai lavoratori”, indicando nella relazione tecnica gli estremi dell’ordinanza.
Inps, Messaggio 26/07/2024, n. 2736

Il convivente di fatto deve essere ricompreso nell’impresa familiare
La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 230-bis, terzo comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede come familiare il “convivente di fatto” e come impresa familiare quella in cui opera anche il “convivente di fatto”. La mancata inclusione del convivente di fatto nell’impresa familiare è ritenuta irragionevole e contrasta con il principio costituzionale che tutela il diritto al lavoro come strumento di realizzazione della dignità della persona. Sottolinea la Corte Costituzionale che il diritto al lavoro ed alla giusta retribuzione costituiscono diritti fondamentali da riconoscere a tutti senza distinzioni. Su tale presupposto riposa la dichiarata incostituzionalità della norma codicistica che, ai fini delle protezioni riconducibili al lavoro reso nell’impresa familiare, non ricomprende oltre al coniuge, ai parenti (entro il terzo grado) ed agli affini (entro il secondo grado), anche il convivente di fatto.
Corte Costituzionale 25/07/2024 n. 148

Reintegrato il lavoratore sanzionato col licenziamento per comportamenti negligenti
Se il contratto collettivo, tramite una clausola generale, attribuisce rilevanza disciplinare ai comportamenti negligenti del lavoratore senza, tuttavia, fornirne una descrizione dettagliata, ma prevedendo per essi una sanzione conservativa, il licenziamento per giusta causa irrogato sulla scorta dei comportamenti negligenti ricompresi nella predetta clausola generale del contratto collettivo è illegittimo. In applicazione di tale principio, è sanzionabile con la reintegra il licenziamento disciplinare del lavoratore che abbia fotografato il posto di lavoro senza l’autorizzazione del datore di lavoro e che abbia stampato un notevole numero di pagine con la stampante aziendale in spregio alle regole di corretto utilizzo delle risorse aziendali, poiché tali comportamenti, seppur disciplinarmente rilevanti, rientrano tra quelli punibili con sanzione conservativa ai sensi della clausola generale del contratto collettivo.
Cass. (ord.) 25/07/2024 n. 20698

Divieto dei licenziamenti durante il Covid-19 e deroga per il cambio appalto
Nel periodo pandemico acuto da Covid-19 il divieto dei licenziamenti economici previsto dal Decreto Cura Italia (art. 47, Decreto-Legge 18/2020) poteva essere superato se il licenziamento interveniva nell’ambito di un cambio appalto, a fronte dell’assunzione dei lavoratori da parte dell’impresa subentrante. La Cassazione ha precisato che la deroga non opera se il lavoratore rifiuta l’assunzione del subentrante per il peggioramento delle condizioni economiche e normative offerte rispetto al precedente rapporto di lavoro. La finalità della normativa emergenziale sul divieto dei licenziamenti economici era chiaramente di salvaguardare la continuità occupazionale per le fasce più deboli, garantendo la conservazione del trattamento economico e normativo in godimento. La Cassazione osserva che la deroga al blocco dei licenziamenti va letta in questo contesto, limitando il potere di recesso dell’appaltatore uscente all’ipotesi in cui il passaggio alle dipendenze dell’impresa subentrante avvenga in forza di condizioni contrattuali coerenti con il precedente rapporto.
Cass. (ord.) 12/07/2024 n. 19185

Reintegrazione in servizio e limiti al trasferimento di sede
Il lavoratore, a seguito della pronuncia giudiziale che annulla il licenziamento e ordina la reintegrazione, deve essere riammesso al lavoro nella sede in cui prestava servizio quando è intervenuto il recesso datoriale. Solo in un secondo momento il lavoratore potrà essere legittimamente trasferito a nuova sede di lavoro nell’ambito aziendale, ma non sarà sufficiente, in questo caso, dimostrare le comprovate esigenze organizzative, tecniche o produttive (richieste dall’art. 2103 cod. civ.) con riguardo alla sede di provenienza e di destinazione. Poiché il trasferimento fa seguito alla reintegrazione in servizio ordinata dal giudice quale effetto dell’annullamento di un precedente licenziamento, il datore è tenuto a provare l’inevitabilità del trasferimento stesso e l’inutilizzabilità in altre posizioni nell’ambito della sede di provenienza. In particolare, il datore deve fornire la prova dell’inevitabilità del trasferimento sotto il profilo della sicura inutilizzabilità del dipendente presso la sede di partenza.
Cass. (ord.) 10/07/2024 n. 18892

Mancato godimento dei riposi continuativi comporta il risarcimento del danno da usura
In forza dei Regolamenti CE nn. 3820/1985 e 561/2006 è imposto ai datori di lavoro di consentire ai lavoratori un riposo continuativo e non frazionato di 11 ore nell’arco della giornata lavorativa e un riposo settimanale complessivo di 45 ore. La Cassazione conferma che il datore di lavoro è responsabile per i danni sofferti dal lavoratore per effetto del mancato godimento dei predetti riposi, specificando che anche il recupero delle ore di mancato riposo non può essere frazionato, ma deve essere anch’esso goduto dal lavoratore in modo continuativo (così come in modo continuativo avrebbero dovuto essere fruiti i riposi previsti della normativa euro unitaria, per il cui mancato godimento il datore di lavoro risponde del danno non patrimoniale). Posto che il riposo è un diritto indisponibile del lavoratore, la cui lesione incide su un diritto costituzionalmente tutelato, il datore è responsabile del danno da usura psico-fisica sofferto dal lavoratore, con conseguente liquidazione del risarcimento in misura equitativa.
Cass. (ord.) 05/07/2024 n. 18390

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