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Il ritardo può giustificare il licenziamento del dipendente
È legittimo il licenziamento di un addetto alla vigilanza che per disattenzione si è presentato al lavoro con 40 minuti di ritardo, lasciando scoperto e, quindi, esposto a potenziali azioni criminose l’istituto di credito per il predetto intervallo. Il ritardo costituisce, in questo caso, un inadempimento di significativa gravità, sia in considerazione del rischio per il patrimonio aziendale a cui è stato esposto l’istituto di credito, sia alla luce di svariati precedenti disciplinari a carico del dipendente. Pur non rientrando il ritardo del dipendente tra le cause di licenziamento previste dalla contrattazione collettiva, esse non sono vincolanti per il giudice, che può estendere il catalogo delle ipotesi integranti giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento in presenza di condotte di particolare rilevanza disciplinare.
Cass. (ord.) 15/10/2024 n. 26770
Illegittimo il licenziamento del dipendente che pubblica su Facebook frasi denigratorie nei confronti del CEO
È illegittimo il licenziamento comminato alla dipendente che ha pubblicato sul proprio profilo Facebook frasi denigratorie e offensive nei confronti della società e del suo amministratore delegato (astrattamente idonee ad integrare il reato di diffamazione), se sussiste una scriminante. Sulla scorta di tale principio, in presenza di una fuoriuscita di sostanze tossiche nei locali della società che ha coinvolto il marito della dipendente, è stata ritenuta sussistente la scriminante dello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui prevista dall’art. 599 del codice penale. Infatti, nei casi in cui il CCNL prevede l’applicazione della sanzione del licenziamento qualora il dipendente abbia commesso azioni che costituiscano “delitto” a termini di legge, il giudice del lavoro può valutare autonomamente la sussistenza della scriminante rispetto agli elementi costitutivi del reato, anche in assenza di una sentenza penale.
Cass. (ord.) 10/10/2024 n. 26446
Legittimo il licenziamento dell’addetto al bancone sgarbato verso il cliente
È legittimo il licenziamento disciplinare inflitto nei confronti di un dipendente, con mansioni di addetto al banco macelleria di un supermercato, per essersi rivolto nei confronti di un cliente anziano con toni aggressivi e volgari. L’addetto al bancone non aveva mai chiesto scusa al cliente, peraltro anziano, e aveva proseguito la discussione con toni sempre più accesi, dando luogo ad uno spettacolo indecoroso. Tale condotta costituisce una grave violazione dell’obbligo di “usare modi cortesi col pubblico e di tenere una condotta conforme ai civici doveri”, che acquista particolare rilevanza nelle mansioni che implicano un contatto con l’utenza. La misura massima espulsiva del licenziamento per giusta causa costituisce, in tal caso, una sanzione proporzionata alla gravità del comportamento tenuto verso l’anziano cliente del supermercato, perché impedisce la prosecuzione anche solo provvisoria del rapporto di lavoro.
Cass. (ord.) 10/10/2024 n. 26440
Licenziamento del dirigente per mancato superamento della prova
La ridotta durata del periodo di prova effettivamente lavorato è irrilevante, se il datore “già dopo un mese e mezzo” ha maturato il convincimento che le qualità professionali possedute dal dirigente non siano compatibili con le competenze ritenute necessarie dal datore in relazione al ruolo professionale per il quale era intervenuta l’assunzione. In mancanza di una previsione di durata minima del periodo di prova contrattuale, infatti, il datore di lavoro non è vincolato ad un termine e può licenziare il dirigente per mancato superamento della prova anche dopo sole sette settimane, pur a fronte di una durata stabilita dalle parti in sei mesi. È il dirigente, laddove ritenga il licenziamento pretestuoso, a dover dimostrare che le poche settimane di lavoro prima del licenziamento erano un tempo inadeguato per il compiuto esperimento della prova. Non avendo il dirigente allegato alcunché a tale proposito, il licenziamento è stato confermato.
Tribunale di Arezzo, Giudice Rispoli, 07/10/2024
Giustificato motivo oggettivo di licenziamento se il lavoratore è agli arresti domiciliari
La sottoposizione del lavoratore agli arresti domiciliari legittima il licenziamento per giustificato motivo oggettivo senza obbligo di repêchage, purché non sussista più l’interesse del datore di lavoro a ricevere le prestazioni del dipendente e, inoltre, le particolari condizioni del rapporto di lavoro non rendano per l’impresa tollerabile l’assenza del lavoratore. A tale proposito, per valutare l’intollerabilità dell’assenza rispetto all’interesse datoriale a ricoprire il posto vacante soccorrono le dimensioni dell’impresa, la durata degli arresti domiciliari e la possibilità di affidare ad altri le mansioni del dipendente sottoposto al provvedimento restrittivo della libertà personale. Sulla scorta di questo principio è stato ritenuto legittimo il licenziamento di un dipendente agli arresti domiciliari per oltre 12 mesi, nonostante la successiva assoluzione in sede penale.
Cass. (ord.) 07/10/2024 n. 26208
Tfr anche ai lavoratori soci di cooperativa
Anche al socio lavoratore di cooperativa va riconosciuto il diritto al trattamento di fine rapporto normato dall’articolo 2120 del Codice civile, non esistendo alcun motivo ostativo nella vigente legislazione. Il Tfr non può che considerarsi un diritto di tutti i lavoratori subordinati, anche dei soci lavoratori, a prescindere dalla disponibilità delle risorse economiche necessarie da parte della cooperativa. Deve essere data continuità all’indirizzo del Ministero del Lavoro per cui tutti gli istituti normativi che la legge prevede per la generalità dei lavoratori, incluso il Tfr, si applicano anche ai soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato. Non sussiste, quindi, alcuna incompatibilità tra la posizione del socio lavoratore con contratto di lavoro subordinato e il diritto al Tfr.
Cass. (ord.) 04/10/2024 n. 26071
Rifinanziata l’APE Sociale
È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Anticipi, che contiene, tra le altre misure, il rifinanziamento dell’APE Sociale 2024, con un incremento della spesa di €20 milioni per il 2025, €30 milioni per il 2026, €50 milioni per il 2027 e €10 milioni per il 2028. Si ricorda che l’APE Sociale è un’indennità statale erogata dall’Inps ai lavoratori in stato di difficoltà che chiedono di anticipare la pensione al compimento dei 63 anni più 5 mesi. La misura è entrata in vigore in via sperimentale dal 1° maggio 2017 ed è attesa la proroga con la prossima Legge di bilancio.
Decreto-Legge 19/10/2024 n. 155
Pubblicato il Report ministeriale sui contratti collettivi di secondo livello
Il Ministero del Lavoro ha pubblicato il Report sui contratti collettivi di secondo livello relativi, tra l’altro, al premio di risultato e alla partecipazione agli utili d’impresa depositati alla data del 15 ottobre 2024 e tuttora attivi. La stragrande maggioranza dei contratti collettivi si riferisce al livello aziendale (14.699), mentre una parte più limitata (3.256) fa riferimento al livello territoriale. Tra essi, la maggior parte (10.831) accanto al premio di risultato disciplina misure di welfare aziendale. Oltre due terzi dei contratti collettivi su premio di risultato e partecipazione agli utili dell’impresa proviene dal Nord Italia (74%), mentre il Centro (17%) e il Sud (9%) ne fanno un uso più limitato. Il settore dove i contratti collettivi sul premio di risultato e il welfare sono più frequenti sono i Servizi (61%), seguiti dall’Industria (38%) e dall’Agricoltura (1%). Il valore annuo medio del premio di risultato è pari a €1.505. Di grande rilievo è il dato sui contratti di prossimità ai sensi dell’art. 8, Legge 148/2011, che consente (entro certi limiti) di derogare alle norme di legge e dei contratti collettivi per adattarle alle esigenze aziendali dell’organizzazione del lavoro. Si tratta, infatti, di 2.966 contratti di prossimità, dove è il Sud Italia a giocare il ruolo principale (46%), seguito dal Nord (39%) e dal Centro (15%). Anche in questo caso, il numero più rilevane dei contratti di prossimità si riferisce al settore dei Servizi (53%), seguito dall’Industria (46%) e dall’Agricoltura (1%).
Ministero del Lavoro, Report 15/10/2024
Lavoratori marittimi: niente riconversione del contratto in caso di contratti a termine contigui
In tema di arruolamento marittimo, il solo numero dei contratti a tempo determinato e l’arco temporale in cui si sono succeduti sono elementi insufficienti a determinare una conversione di tali rapporti in un rapporto a tempo indeterminato, essendo necessaria a tal fine la sussistenza di ulteriori elementi da cui emerga un abuso nel ricorso al contratto a temine. Inoltre, nel settore marittimo, risulterebbe esclusa la conversione del rapporto qualora fra la cessazione di un contratto a termine e la stipulazione di quello successivo intercorra un periodo superiore ai sessanta giorni. In applicazione di queste regole, è stata esclusa la conversione del rapporto di due lavoratori marittimi, il primo dei quali aveva stipulato cinque contratti a tempo determinato nell’arco di tre anni e il secondo dei quali aveva stipulato nove contratti a tempo determinato tra il 2001 e il 2009.
Cass. (ord.) 27/09/2024 n. 25856
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