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Aggiornamenti settimanali sul Diritto del Lavoro in Italia17 April 2025

WEEKLY ITALIAN LABOUR UPDATES

"È possibile la coesistenza di un cumulo di impeghi, ma occorre il rispetto delle condizioni sui riposi obbligatori e sulla sicurezza."

Non è valido il verbale di conciliazione firmato nei locali aziendali
Il verbale di conciliazione firmato presso i locali aziendali ai sensi dell’art. 411, terzo comma, cod. proc. civ. non può ritenersi validamente perfezionato, in quanto esso non soddisfa il parametro della sottoscrizione in “sede sindacale”. La sede sindacale di stipula del verbale di conciliazione non è un elemento neutro e non costituisce un requisito formale, ma risponde allo scopo di assicurare l’effettività dell’assistenza sindacale, garantendo che la volontà del lavoratore sia espressa in modo genuino e libero, tramite la formazione di un consenso informato e pienamente consapevole. La tutela del soggetto debole (i.e. il lavoratore) non è affidata unicamente all’assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene, in quanto si tratta di due requisiti concomitanti, entrambi necessari per garantire l’assenza di condizionamenti. È, pertanto, impugnabile il verbale di conciliazione sottoscritto nei locali aziendali, sia pure in presenza di un rappresentante sindacale.
Cass. (ord.) 08/04/2025 n. 9286

Inapplicabile il termine di decadenza giudiziale di 180 giorni ai licenziamenti in periodo di prova
Ai licenziamenti intimati durante il periodo di prova non si applica il doppio termine di decadenza previsto dall’art. 32 della Legge 183/2010 (60 giorni per la impugnazione stragiudiziale e 180 giorni successivi per il deposito del ricorso in tribunale). A questa conclusione si perviene in quanto l’ambito di applicazione del regime decadenziale previsto dall’articolo 32 è circoscritto a un numero chiuso di ipotesi di “allontanamento dal lavoro”, tra cui non figura il recesso intimato durante il periodo di prova. Inoltre, occorre considerare la diversa ratio del patto di prova, che è volto a consentire a entrambe le parti di valutare la reciproca convenienza del rapporto di lavoro. Il periodo di prova si fonda su una logica di flessibilità contrattuale che è incompatibile con la rigidità dei termini decadenziali previsti per i licenziamenti ordinari. Pertanto, non si applica al licenziamento del lavoratore in prova il termine decadenziale giudiziale di 180 giorni, ma unicamente il termine di prescrizione quinquennale.
Cass. (ord.) 08/04/2025 n. 9284

Sui requisiti di validità del patto di non concorrenza
Il compenso del patto di non concorrenza deve essere determinato (o determinabile) al momento della sua stipula, a pena di nullità del patto medesimo. Inoltre, vige il principio di autonomia tra il patto di non concorrenza e il rapporto di lavoro, atteso che il primo è destinato a regolare i rapporti fra le parti a partire da un momento successivo alla cessazione del rapporto. In applicazione di questi principi, il patto di non concorrenza in cui è previsto un compenso fisso da pagarsi nei primi tre anni del rapporto mantiene la sua validità anche se il rapporto viene interrotto prima che sia scaduto il triennio. In virtù dell’autonomia che sussiste tra il patto di non concorrenza e il rapporto di lavoro, infatti, Il datore continuerà a dover pagare il compenso fino alla scadenza del triennio e in tal modo risulterà salvaguardata la determinatezza della prestazione economica che il lavoratore riceve a fronte del divieto di concorrenza.
Cass. (ord.) 08/04/2025 n. 9263

Licenziamento ritorsivo se irrogato per sanzionare la testimonianza del lavoratore contro il datore
Il licenziamento è ritorsivo qualora venga accertata l’insussistenza dei motivi formalmente addotti dal datore di lavoro a presidio del recesso e, dunque, la ritorsione nei confronti del lavoratore rappresenti l’unico motivo determinante il licenziamento medesimo. Tale ipotesi ricorre laddove il licenziamento per giusta causa venga irrogato a un lavoratore, che abbia già conseguito un esito vittorioso in altro giudizio contro il datore di lavoro, per aver – successivamente e in un giudizio intentato da un collega – reso delle testimonianze contrarie alla tesi difensiva del datore di lavoro e da questi ritenute erroneamente false. A fronte del licenziamento ritorsivo il lavoratore ha diritto alla reintegra nel posto di lavoro.
Cass. (ord.) 03/04/2025 n. 8857

Dimissioni telematiche revocate solo con notifica al datore di lavoro
La revoca delle dimissioni deve avvenire con la medesima procedura telematica prevista per il recesso del lavoratore e deve essere, inoltre, notificata al datore di lavoro perché essa produca l’effetto ripristinatorio del rapporto di lavoro. Secondo quanto previsto dall’articolo 26, D.Lgs. 151/2015 le dimissioni sono fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche su moduli resi disponibili dal Ministero del Lavoro. I moduli con le dimissioni sono, quindi, trasmessi sia all’ITL, sia al datore di lavoro con apposita comunicazione (come da DM 15/12/2015). Entro i successivi sette giorni il lavoratore può revocare le dimissioni, adottando le medesime modalità. Se il datore contesta il mancato ricevimento del modulo di revoca delle dimissioni, è specifico onere del lavoratore dare prova del completamento della procedura mediante l’invio al datore di lavoro della comunicazione PEC attestante l’avvenuta notifica della revoca delle dimissioni. In difetto di questa prova, la revoca delle dimissioni non ha effetto e il rapporto di lavoro si considera risolto.
C. App. Napoli 24/03/2025 n. 1136

Ammissibile il doppio licenziamento disciplinare
Il lavoratore che si rende responsabile di due distinte e gravi condotte illecite può essere licenziato con due diversi ed autonomi provvedimenti sanzionatori, anche se il secondo licenziamento viene comunicato dopo la cessazione del rapporto di lavoro a seguito della irrogazione del primo licenziamento. Anche se il rapporto è già estinto per effetto del primo licenziamento, nulla vieta di considerare ai fini disciplinari la condotta oggetto del secondo licenziamento, purché si tratti di illecito estraneo alla condotta già sanzionata con il primo licenziamento e sempre che sia stato rispettato il principio di tempestività anche con riguardo all’avvio dell’azione disciplinare sfociata nel secondo licenziamento. Peraltro, l’efficacia del secondo licenziamento è condizionata all’eventuale declaratoria di illegittimità del primo licenziamento, in quanto solo in quest’ultimo caso si verifica la continuazione del rapporto che sarà (nuovamente) interrotto per effetto del secondo licenziamento irrogato dal datore.
Trib. Ancona 29/03/2025 n. 213

Responsabilità per l’infortunio sul lavoro del datore di lavoro di fatto
La persona che ha esercitato di fatto il ruolo di datore di lavoro in materia di sicurezza, anche se non è stato formalmente investito di alcun incarico, risponde in sede penale per la violazione delle norme antinfortunistiche. A questa conclusione si accede anche se il soggetto che ha assolto in concreto al ruolo di datore di lavoro ai fini della sicurezza non è titolare dell’impresa e non è legato all’impresa da un contratto di lavoro, perché il dato dirimente è lo svolgimento dei relativi poteri sul piano operativo.
Cass., sez. penale, n. 13809/2025

Licenziamento disciplinare per il lavoratore che renda false dichiarazioni all’Inail
Il danno all’immagine della persona giuridica (es., una società) è quello che attiene alla mera lesione della sua reputazione formatasi in un determinato momento storico. Non rientrano in tale categoria le dichiarazioni non veritiere e non necessarie ai fini dell’ottenimento della copertura assicurativa rese dal lavoratore all’Inail in fase di denuncia dell’infortunio, laddove tali dichiarazioni espongano la società datrice di lavoro a una serie di effetti pregiudizievoli, incluse possibili conseguenze civili, penali ed amministrative, mettendo a repentaglio non solo il buon nome della società sul mercato, ma anche la stessa continuità dell’attività aziendale. Tale condotta è ben più grave di una lesione all’immagine aziendale ed è idonea a ledere il vincolo fiduciario tra il datore di lavoro e il lavoratore, legittimando il licenziamento per giusta causa.
Cass. (ord.) 24/03/2025 n. 7788

Obbligo di informazione sindacale prima del trasferimento collettivo
Prima di procedere al trasferimento collettivo dei lavoratori, da cui sono derivate le loro dimissioni in massa, il datore di lavoro è tenuto ad informare le rappresentanze sindacali e a dare ingresso alla fase di consultazione. L’obbligo di preventiva informazione e consultazione sindacale deriva dall’art. 4, D.Lgs. 25/2007 (norma di attuazione della Direttiva 2000/14/Ce) e va assolto anche se il CCNL applicato dal datore non disciplina i tempi e le modalità del coinvolgimento sindacale. L’obbligo di preventiva informazione e consultazione sindacale nasce ogni volta che il datore adotta cambiamenti per l’assetto organizzativo aziendale forieri di incidere negativamente sulle condizioni contrattuali dei lavoratori. Il datore che non assolve a questo obbligo è responsabile di condotta antisindacale, né il datore può giustificarsi con l’assenza di una apposita disciplina del CCNL. Se è vero, infatti, che l’art. 4 demanda ai contratti collettivi la definizione di modalità e tempi dell’informazione sindacale, l’obbligo di preventiva informazione e consultazione dei rappresentanti dei lavoratori va assolto anche se il CCNL non ha dettato nessuna regola.
C. App. Ancona 18/01/2025 n. 29

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